Ritrovamento salma G. Marelli

Il 18 aprile 1960 i fratelli Ercole e Giuseppe Marelli, studenti universitari, e un loro amico sono a caccia di anatre sul lago Trasimeno quando all’improvviso la barca su cui si trovano affonda. l tre ragazzi non hanno scampo: zavorrati come sono precipitano sul fondo del lago senza riuscire nemmeno a dare due bracciate. La tragedia colpisce tutta l'Italia: per la giovane età delle vittime, perché la famiglia Marelli è quella conosciutissima degli industriali della radio. I sommozzatori dei Vigili del Fuoco intervengono in forze, insieme ai Carabinieri Subacquei poiché l’accaduto potrebbe avere anche rilevanza penale. Recuperano presto due cadaveri, ma il corpo di Giuseppe Marelli non si trova. Decine di imbarcazioni arano il fondale trainando di poppa cavi e rampini. Impietrito dal dolore, immobile sul pontile di Monte del Lago, il padre di due delle vittime, l'ingegner Fermo Marelli, osserva con il cuore lacerato dall' angoscia e dall' orrore. Il 19 aprile, Vigili e Carabinieri, d'accordo, decidono di chiedere l'intervento personale di Ferraro, che si precipita nel paesino sulla sponda orientale del Trasimeno. Prende posto a bordo di un gommone con il carabiniere subacqueo Santamaria. I sommozzatori, vincolati alle loro barche appoggio mediante una sagola, così come prevede la procedura di sicurezza per questi specialisti, osservano il fondale, lo tastano palmo a palmo. Qui, a poco più di cento metri dalla riva, nel punto esatto in cui è affondata la barca dei tre giovani cacciatori, le alghe formano una foresta intricata e fitta. Ogni pochi metri i sommozzatori sono costretti ad allontanare con la mano le alghe che si sono appiccicate sulla loro maschera. Per prima cosa Ferraro suggerisce: «Quando vi fermate per pulire dalle alghe il cristallo della maschera, tornate indietro d'un metro, e tastate tutt'intorno: perché può accadere che la vostra barca appoggio abbia scarrocciato, e in questo caso potreste trascurare di mettere le mani nel punto giusto.» Poi decide di immergersi personalmente, insieme al carabiniere subacqueo. E gli accade proprio quel che aveva previsto: quando si ferma per liberare la maschera dal paciugo di alghe, si ritrova spostato rispetto alla direttrice del suo percorso subacqueo. Allora torna indietro d'un po', appena un metro, e le sue dita sensibili percepiscono qualcosa di inconfondibile, il velluto a coste d'un pantalone da caccia, quello che indossa Giuseppe Marelli. Con l'aiuto di Santamaria il corpo esanime è liberato dalle alghe che lo nascondono e lo avviluppano. Sono gesti delicati e pietosi, quelli di Ferraro e del carabiniere. Mentre tornano a terra, sul fondo del battello il corpo riverso del giovane annegato, il carabiniere Santamaria gli fa: «Se non lo trovavamo oggi, lei ci teneva qui fin quando non lo avessimo trovato ... » «E già. Ma tu lo hai visto, il padre? Avresti potuto pensare di andartene, di lasciar li quell'uomo, solo con la sua disperazione?» Sempre immoto sul pontile, l'ingegner Fermo Marelli attende il corpo del suo secondo figlio, assassinato dal lago nel giorno della Resurrezione. Non dimenticherà mai quel che Ferraro ha fatto: vuole che accetti una qualche tangibile espressione di riconoscenza, manderà a casa sua una sua persona di fiducia per insistere, per convincerlo: "non si tratta di pagarla, professore, per carità ... Ma l'Ingegnere vorrebbe tanto che lei ... " Ferraro è deciso, fermo: "Dica all'Ingegner Marelli che la tragedia di cui è stato vittima è incommensurabile. Io non ho fatto che il mio dovere. Per me è più che sufficiente poter contare sul privilegio della sua amicizia." Da allora e per molti anni, tutte le volte che è in viaggio, Fermo Marelli spedisce a Luigi Ferraro una cartolina con un saluto. (2)